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Storie da ridere per non piangere.
Una lingua tenera e sorprendente che mai diventa virtuosismo, ma è sempre al servizio della bellezza dei luoghi e delle persone, del racconto di una Storia vista dalla parte degli ultimi.
Un finissimo umorismo con venature nere ma sempre gentili.
Un monte d'arenaria (che poi non è neanche un monte: 200 m slm il punto più alto): la prima altura che s'incontra scendendo dalla pianura padana, 60 km prima del monte Conero, lungo la costa adriatica. Con un versante, detto le Rive, che guarda verso nord-est, esposto ai venti di maestro, bora, greco e levante; l'altro, verso sud-ovest, benedetto dal sole e dalla storia.
Un mondo piccolo, di pochi chilometri quadrati (l'Adriatico da una parte, i fondali dell'Appennino dall'altro) coltivato a mezzadria, pieno di personaggi, carico d'amore, di rabbia e d'ingiustizia.
Nessuna indulgenza per come si stava bene una volta, per il pane fatto in casa: neanche per le lucciole.
Storie da ridere per non piangere, da tramandare da padre in figlio: nella fattispecie un lascito da nonno a nipote, nella speranza che le parole sommerse siano ancora comprensibili.
«Teobaldi non scrive parole: le adotta, le alleva e le accudisce così quando viene il momento di impiegarne una risponderà docilmente alla chiamata dello scrittore».
Stefano Bartezzaghi
«Per Teobaldi la realtà che ci circonda è piena di miracoli. Per nutrirsene, bisogna tenere i sensi all'erta e imparare le parole giuste per "dirli". Così come bisogna saper nominare la vita della gente umile e anonima, che svolge al meglio il proprio dovere e sopporta in silenzio le peggiori disgrazie».
Franco Marcoaldi