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L'inconfondibile impasto di mistero e quotidianità e la trasparenza della parola che li dice hanno subito fatto riconoscere in Charles Simic uno dei maggiori poeti contemporanei. E in questo libro, che accompagna la sua ultima raccolta, «Il mio inudibile entourage», con una scelta dalla produzione precedente, il suo universo – fisico e mentale – si mostra con una vividezza abbagliante. Un universo di interni desolati e di periferie hopperiane abitate da gente anonima, dove gli oggetti sembrano giacere spaesati dopo aver perduto ogni funzione. Un'America di luoghi e immagini di memorabile intensità – cinematografi abbandonati, bische clandestine, biblioteche di quartiere, tavole calde aperte tutta la notte, giardini deserti, polvere, specchi, strade senza fine, cieli di un azzurro perenne –, dove si affacciano ombre e presenze indecifrabili, sospetto di metafisica subito soffocato dallo scetticismo e dall'ironia. Sono i poco minacciosi fantasmi di chi non c'è più – o di noi stessi dopo la fine –, gli angeli non custodi della nostra solitudine, ossessioni e paure discrete, più amichevoli che angoscianti, e quasi protettive nella loro perseveranza.