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Le tecnologie e i dispositivi digitali fanno parte delle nostre vite. Anche di quelle dei bambini. Ed è bene che sia così: l'utilizzo della rete e delle opportunità di conoscenza che ne derivano, purché in contesti controllati e privi di rischi, è un diritto al quale tutti i bambini e le bambine dovrebbero avere accesso. A partire da questa premessa si sviluppa la riflessione proposta da Alberto Rossetti: la relazione tra bambini e bambine, da un lato, e uso dei dispositivi tecnologici, dall'altro, non ha ragione di essere demonizzata. Al contrario, occorre attraversare il tema con onestà e chiarezza, e cercare un equilibrio che superi i facili schieramenti di chi è "pro o contro" le tecnologie. Occorre indagare in che modo i più piccoli vi hanno accesso nelle loro vite, quali significati sono in grado di attribuirvi e quali no, e con quali conseguenze sul mondo delle relazioni e sullo sviluppo.
Ma i bambini sono sempre più spesso anche i protagonisti del racconto che i loro stessi genitori portano quotidianamente in scena sui social network. Fino a che punto è corretto che gli adulti condividano pubblicamente contenuti riferiti ai figli? In questa pratica, nota con il nome di sharenting, il bisogno di raccontare l'esperienza di genitorialità si piega alla logica dei like, delle visualizzazioni e dunque del mercato. E i figli rischiano di diventare un contenuto come tanti, che scorre sulle bacheche di tutti noi, perfetti sconosciuti.
Ma i bambini sono sempre più spesso anche i protagonisti del racconto che i loro stessi genitori portano quotidianamente in scena sui social network. Fino a che punto è corretto che gli adulti condividano pubblicamente contenuti riferiti ai figli? In questa pratica, nota con il nome di sharenting, il bisogno di raccontare l'esperienza di genitorialità si piega alla logica dei like, delle visualizzazioni e dunque del mercato. E i figli rischiano di diventare un contenuto come tanti, che scorre sulle bacheche di tutti noi, perfetti sconosciuti.