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Grazia Deledda (Nuoro, 1871-Roma, 1936) lasciò la Sardegna all'indomani del matrimonio con Palmiro Madesani, che sarebbe sempre stato un fervente sostenitore della donna. Insieme i due si trasferirono nella Città eterna nel 1900 e lì la scrittrice, che aveva già raggiunto una prima notorietà con "Anime oneste" (1895) e "La giustizia" (1899), poté affermarsi ulteriormente. Vennero quindi "Dopo il divorzio" (1903), "Elias Portolu" (1903), "Cenere" (1904), "L'edera" (1908) e via via altri titoli, sempre in bilico tra realismo e lirismo, rigore morale di stampo veterotestamentario e cristiana pietà, indagine psicologica dei personaggi e rappresentazione quasi ancestrale dei paesaggi. Dopo il capolavoro "Canne al vento" (1913), Deledda diede il via a una seconda stagione della propria narrativa, affrancandosi del tutto dai regionalismi e facendo propria la lezione del miglior decadentismo, con titoli come "Il segreto dell'uomo solitario" (1921), "Il Dio dei viventi" (1922), "Annalena Bilsini" (1927), "Cosima", che sarebbe uscito postumo, e altri ancora. Per la sua straordinaria produzione nel 1926 le fu conferito il premio Nobel per la letteratura.