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Un libro che accoglie la sfida posta dalla crisi economica: la riscoperta del valore della povertà. Accanto alla lotta alla miseria, la proposta di assumere un atteggiamento povero verso se stessi e la vita, per giungere a una ricchezza che nessuna crisi economica può intaccare.
ESTRATTO DALLA PRIMA PARTE
Molti scrivono del dilagare di povertà e miseria, mettendo in guardia dai riflessi negativi di questo stato di cose. L'odierna crisi economica aggrava questa situazione. In seguito alle crescenti forme di povertà fanno la loro comparsa molti fenomeni negativi. Valori, aspirazioni e fini si confondono. Cresce la Torre di Babele della contemporaneità, fatta di persone divise, diffidenti e ostili fra loro, che vedono negli altri dei rivali e difendono gelosamente il proprio benessere materiale. Il crescente egoismo dissipa il desiderio di costruire un futuro di solidarietà. Con l'offuscarsi del volto di Dio, fonte dell'autentica ricchezza, diventa più debole anche la fede, che non dà più la forza necessaria per costruire la speranza in un futuro migliore.
La povertà intesa come indigenza ha gettato radici profonde nella nostra vita, perciò molti ritengono che si debba combatterla per far tornare la gioia e far crescere la felicità. Ma ne vale davvero la pena? È possibile debellare la povertà, dal momento che essa è insita nella natura umana? Eliminarla dalla nostra vita sarà qualcosa di univocamente positivo? O forse bisogna accoglierla, accettarla così come si accetta la vita? E se una povertà accolta consapevolmente potesse diventare una fonte di qualcosa di positivo, una forma di una ricchezza nuova, più autentica, che finora non è stata colta e sperimentata? Di una ricchezza che non si limita esclusivamente al benessere economico, ma che significa anche felicità interiore, serenità d'animo, bontà e amicizia, che è coesistenza armoniosa con tutto il creato.
La povertà è una «legge del mondo». Che cosa significa? Più o meno che non ci libereremo mai della povertà e che essa ci accompagnerà sempre. Non riusciremo mai ad allontanarla, a eliminarla, a farla sparire dalla nostra vista. Non diventeremo ricchi una volta per tutte. In forme e gradi diversi la povertà sarà sempre con noi, accanto a noi e in noi. È infatti intimamente connessa alla natura dell'uomo e del mondo. La teologia dice che è effetto della creazione, che ha conferito all'uomo una forma di esistenza dipendente. Da una parte egli è una creatura perfetta, ma dall'altra è sempre incompleto e perciò alla costante ricerca della sua perfezione, della pienezza della felicità e dell'armonia interiore; per questo egli è aperto al dialogo, disposto a mettersi in relazione con l'altro. L'uomo è per così dire un creatore creato, la cui missione principale è «chiamare» continuamente se stesso a un'esistenza autentica, alla vera felicità, al costante arricchimento. Rabindranath Tagore si riferiva a questo dicendo che «l'uomo non è ancora giunto al completo sviluppo, tuttavia è in formazione. In ciò che egli è, è piccolo: se potessimo concepire la sua esistenza perpetua per l'eternità in tale stato, avremmo un'idea del più orribile inferno che possa immaginarsi»1. L'uomo riuscirà a scoprire di essere chiamato alla pienezza e a realizzarla solo se accetterà consapevolmente e di buon grado la sua povertà come inizio del cammino. Il suo coronamento sarà invece una nuova forma di ricchezza, che nessuna crisi economica potrà intaccare. Non si tratta solo di arricchirsi in senso materiale, come ritengono alcuni. Anche questo ha un senso, ma quando manca la ricchezza dello spirito, questo arricchimento impoverisce in realtà la natura dell'uomo, altera il suo sviluppo autentico, lo porta a scontrarsi con chi gli sta attorno, lo rende...