Virtù antiche

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By Giovanni Ventimiglia

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Pudore, cavalleria, sincerità, senso dell'umorismo, intraprendenza, pazienza, liberalità, senso dell'onore sono virtù antiche profondamente attuali in un tempo in cui urge la loro riscoperta grazie agli interventi di Giovanni Ventimiglia, Adriano Fabris, Enzo Bianchi. INTRODUZIONE Le virtù dentro un rapporto umano. Anzi due Il secondo tipo di rapporto umano è quello «paterno» o «maschile». Esso predilige rela- zioni oggettive, eque, impersonali. Custode della legge, l'uomo si preoccupa di farla rispettare in modo rigoroso ed equanime da tutti, compresi i propri figli, i propri fratelli.Sulla testa di coloro che oggi denunciano la caduta libera della moralità nel nostro Paese, pende una spada di Damocle: l'accusa di moralismo. Si ritiene, infatti, che parlare di cose come legalità, regole, comandamenti, precetti, virtù, sia indizio di «moralismo», cioè di quella visione dell'etica come sforzo di obbedire a regole o copioni di comportamento astratti, anonimi. È uno sforzo del tutto sterile – denunciano alcuni – perché la morale nascerebbe e si svilupperebbe solo all'interno di un rapporto umano, come risposta della propria vita a un gesto di amore ricevuto da un'altra persona. Il cristianesimo, poi, non consisterebbe in un moralistico «comportarsi bene» ma nella risposta libera al gesto gratuito d'amore di una persona, Gesù Cristo (o, in sua assenza, di una persona umana, appartenente alla sua Chiesa, che, per autorità ricevuta, lo rappresenti). Dunque, nell'introdurre un libro che si propone di trattare un lungo elenco di virtù, tra l'altro per una casa editrice cattolica, non posso evitare di affrontare subito la questione del «moralismo». Comincio con il dichiarare francamente quanto mi convince della critica al moralismo: è proprio vero che ogni comportamento nasce solo dentro un rapporto umano. In effetti, mi ricordo che da piccolo ho cominciato a comportarmi bene in classe e a studiare solo quando è arrivato un maestro che mi voleva bene. Tuttavia un'eccessiva ed esclusiva insistenza sul rapporto umano, a scapito dell'etica, rischia di generare ambiguità ed errori. Anzitutto perché il rapporto umano non si può sostituire all'etica. Precisamente come l'essere stimato dal maestro non significa che posso fare tutto quello che mi pare, tanto sono il suo pupillo! Non si vive di rendita sulle spalle del rapporto umano. E non si può far fuori l'etica a colpi di appartenenze. Altrimenti, per fuggire il moralismo, si finisce dritti nella mentalità mafiosa. Ogni logica mafiosa, infatti, vive su questo principio: se entri nella rete dei nostri rapporti umani, se appartieni alla nostra «famiglia», allora sei bravo, qualunque cosa tu faccia (compresa ogni nefandezza perseguibile per legge) e ti meriti ogni ricompensa, lecita o illecita che sia. Se invece sei fuori dai nostri rapporti umani, dalla nostra famiglia, allora sei, a priori, un nemico e un cattivo, qualunque cosa tu faccia (compresi tutti i comportamenti irreprensibili) e non meriti nulla, nemmeno quello che ti spetta per diritto o per merito In secondo luogo, l'eccessiva ed esclusiva insistenza sul rapporto umano, in tema di etica, rischia di dimenticare che il rapporto umano fondamentale non è uno: sono due. Lo spiego con un'immagine. Se un ragazzo adolescente fa tardi la sera e, nel rientrare in casa nottetempo zitto zitto, incontra in corridoio la mamma, pensa: «Meno male, mi è andata bene, la mamma riesco a commuoverla». Se invece incontra il papà, pensa: «Ahi! Mi è andata male, mi sa che mi becco una bella lavata di capo!». L'immagine, lo ammetto, può non essere così frequente oggi; perché il padre, vittima della sindrome di Peter Pan, magari è ancora fuori con l'ennesima ragazzina, e la madre, in corridoio,...
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