L' incantatore di serpenti. Il sapiente secondo Qoèlet

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By Sebastiano Pinto

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Un volume agile e coinvolgente intorno alle provocazioni e alle domande fondamentali poste dal libro biblico del Qoèlet: un libro «scomodo» e che incanta. INTRODUZIONE Il credente benpensante, moderato e giudizioso, potrebbe ritenere che il libro di Qoèlet sia troppo scettico e dissacratorio o, addirittura, scomodo. Eppure Qoèlet incanta perché parla al cuore dell'uomo rivolgendosi ai cosiddetti «lontani» e ai presunti «vicini». A chi già crede, le parole di questo saggio d'Israele offrono uno «spazio» alle domande difficili – che non sempre si ha il coraggio di porre – sulla giustizia divina e sul senso della vita umana; a chi è alla ricerca egli mostra l'esistenza di una «soglia» critica della fede ben più spessa, ampia e larga di quello che normalmente si sia indotti a pensare, infondendo speranza e nuovo slancio nel cammino. A entrambi Qoèlet concede un vero e proprio «diritto di asilo», un'occasione d'incontro per tessere percorsi di un possibile e arricchente dialogo tra uomini e donne di buona volontà che non rinunciano al fascino di un rapporto autentico e senza maschere con la Verità; il libro di Qoèlet, come diceva Divo Barsotti, «è importante perché purifica la vita religiosa»1. Per i vicini e per i lontani, dunque, perché Qoèlet resta molto prossimo ai primi senza essere eccessivamente distante dai secondi, così come queste nostre riflessioni cercheranno di mostrare coniugando storia e teologia, disincanto e confidenza, parole umane e la Parola di Dio. È vero, è un libro scomodo quello di Qoèlet, ma è soprattutto un libro che incanta. ESTRATTO DAL PRIMO CAPITOLO Fuori dalle regole Un libro sfuggente L'opera biblica appartiene al genere letterario «autobiografia» del sovrano, almeno stando a quanto si legge nell'incipit – «Parole di Qoèlet, figlio di Davide, re di Gerusalemme» (1,1) – sulla scia della tradizione egizia in cui faraoni e visir tramandavano in prima persona la propria visione del mondo, consegnando una sorta di testamento (circa la conduzione della cosa pubblica) che potesse servire alla formazione dei giovani aristocratici. Perché il saggio avverte il bisogno di narrarsi, di raccontare la parabola della propria vita ai posteri? Normalmente si lega la nascita di questo genere letterario alla compresenza di alcuni fattori: disgregazione della comunità tradizionale, un'acuta sensibilità al cambiamento, il passaggio dal metodo d'indagine deduttivo (che presupponeva una realtà conoscibile in tutte le sue parti) a quello induttivo (è la realtà che interroga il soggetto mostrando il primato dell'esperienza), un'alienazione dal proprio gruppo/classe di appartenenza e una più ampia fruibilità delle conoscenze (anche religiose). Naturalmente non ci si può spingere troppo oltre nel­l'esplorare il contesto culturale di un'epoca e imporlo a un'altra; tuttavia, nel caso del Qoèlet, non si può sminuire l'impressionante livello di rispondenza fra il suo stile intensamente personale e un contesto culturale caratterizzato da una profonda disillusione del passato, dall'incertezza del futuro e da un brancolare alla ricerca di nuove risposte; come Qoèlet rammenta al lettore (post)moderno dei nostri giorni, non vi è nulla di nuovo sotto il sole. Un uomo in ricerca In ebraico, Qohelet è un participio femminile della radice verbale qhl («radunare») da cui deriva anche qahal, cioè «assemblea». In epoca persiana questo participio potrebbe comportare una sfumatura intensiva e significare «colui che chiama a raccolta l'assemblea». Nella versione greca dei LXX Qoèlet è chiamato ekklesiastes da ekklesía («assemblea, comunità»): l'Ecclesiaste sarebbe colui che prende la parola in un'adunanza. Siamo, perciò, in presenza di uno pseudonimo relativo all'ufficio...
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