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Nella sterminata serie di esegeti di Nietzsche che si sono susseguiti, Klossowski ha qualcosa di unico: per la libertà, per la capacità rabdomantica con cui si inoltra negli ingannevoli meandri degli scritti di Nietzsche. Qui, con gesto risoluto, sgombera subito il campo da interpretazioni tanto diffuse quanto fuorvianti, come quella erronea «del "superuomo" deliberatamente separato dal suo corollario, ossia la dottrina dell'eterno ritorno»: occorre infatti, anzitutto, «liberare opportunamente l'esperienza che porta il nome di Nietzsche sia dal suo contesto storico sia dalle manipolazioni di cui è stata fatalmente oggetto presso la posterità» – l'inevitabile prezzo che doveva pagare «un'anima condotta all'incandescenza». E incandescenti sono anche queste pagine di Klossowski, in una lettura di Nietzsche dove s'intrecciano il recupero della dimensione mitica, il legame di reversibilità tra verità e finzione, la tensione tra il poeta, il filosofo e il profeta. Una lettura contrassegnata dalla complicità, e dalla piena identificazione con un aforisma della «Gaia scienza»: «Noi senza patria siamo per razza e provenienza troppo multiformi e ibridi» – vale a dire, precisa Klossowski, «troppo legati a tutto ciò che è stato vissuto nel corso del tempo, esperito in luoghi diversi; insomma, troppo ricchi e quindi troppo liberi per rinunciare a questa ricchezza e a questa libertà in favore di un'appartenenza concretamente determinata dal tempo e dallo spazio».