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Bruno Segre prese coscienza della propria identità ebraica a otto anni, brutalmente, quando le leggi razziali lo costrinsero ad abbandonare la scuola pubblica. Ci tornò solo nel 1945. Nel frattempo vede il padre morire in maniera drammatica, la madre assumere il ruolo di capofamiglia e riuscire a passare indenne attraverso i rischi di deportazione dopo l'8 settembre. Ai Segre andò bene, ma parenti e amici perirono nella Shoah. Laureato con Antonio Banfi, collaboratore di Adriano Olivetti, insegnante nel Canton Ticino, Segre ha lavorato poi soprattutto nell'editoria e collaborato a giornali e riviste. Dopo la pensione è divenuto attivissimo esponente di una minoranza critica della Comunità ebraica: ha visto infrangersi il mondo nuovo che Israele sembrava promettere negli anni Sessanta, ha contestato il progressivo nazionalismo sionista, ha cercato attivamente soluzioni di convivenza tra Israele e Palestina. La sua storia personale, qui raccontata in una serrata conversazione con Alberto Saibene, diventa il paradigma di un popolo irrequieto, che non ha mai smesso di interrogarsi su se stesso.