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Nei nostri anni la scienza sembra vittima di un acuto paradosso: da un lato moltiplica – e attraverso illustri studiosi – i tentativi di raggiungere ciò che Roger Penrose chiama «la Risposta: il segreto della vita, la soluzione dell'enigma dell'universo»; dall'altro insinua sempre più spesso – e sempre attraverso autorevoli voci – il sospetto che la scienza stessa stia per esaurirsi, almeno per quanto riguarda le scoperte essenziali. Fine della scienza, in ogni caso: o per compimento di tutte le promesse o per il riconoscimento della insolubilità di alcune questioni capitali. Su questo tema appassionante John Horgan è riuscito a costruire un libro che costituisce una scommessa azzardata: un viaggio fra gli scienziati più discussi e le loro idee, dove il corso dei ragionamenti si mescola costantemente a considerazioni sullo stile, sulle ambizioni, sul contesto biografico dei vari interlocutori – da Gell-Mann a Prigogine, da Hawking a Wilson, da Wheeler a Tipler, da Dennett a Minsky. Con somma abilità, Horgan riesce a darci il senso della vertiginosa complessità dei problemi, mantenendo tuttavia il tono di una discussione chiarificatrice, e insieme facendoci sentire – nei tic, nelle eccentricità, nei rancori, nelle ingenuità, nelle ironie – di quale tessuto si compone la vita intellettuale di alcuni fra i più grandi scienziati di oggi, visitati nel loro habitat.
«La fine della scienza» è apparso negli Stati Uniti nel 1996.