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In questa sua ultima, sorprendente raccolta, uscita postuma nel 1974, Auden – il creatore della poesia degli anni Trenta, passato per la Germania agli albori del nazismo, la Spagna della guerra civile e la Cina in fermento, quasi fuggito oltreoceano alla vigilia della seconda guerra mondiale, diventato cittadino americano e pendolare poi per tante stagioni fra l'Europa e gli Stati Uniti – torna a quella Oxford da dove era partito. E qui il vecchio poeta ringrazia anzitutto la Nebbia – «Sorella immacolata» dello Smog (conosciuto fin troppo bene a New York), «acerrima nemica della fretta» –, che dal suo cottage del Christ Church College ha avuto modo di riscoprire, apprezzandone di nuovo l'ovattata bellezza; scrive albate e notturni per gli amici, un discorso agli animali e un'ode al diencefalo, usa con disinvoltura sovrana metri, rime, misure, strofe e schemi d'ogni sorta, parole desuete e tecnicismi, toni, registri e accenti i più disparati. Poi ancora ringrazia i poeti suoi maestri nell'arco di una vita: Hardy, Frost, Yeats, Graves, Brecht, per terminare con Orazio e Goethe. E infine, «comodo nella tana del suo io, / "Madonna e Bambino"», paradossalmente pio, si concede l'azzardo di una ninna nanna. È il congedo, colloquiale e familiare, di un sapiente.