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Pare che a Maldini lo abbia raccontato un suo ex compagno. In una lezione al corso allenatori di Coverciano, un docente aveva spiegato alcuni fondamentali: «Su un lancio lungo avversario, il terzino che difende deve correre verso la propria porta tenendo avversario e pallone tra sé e il fallo laterale. E per minimizzare i rischi, deve compiere l'intervento voltandosi verso l'esterno del campo». Poi aveva aggiunto: «A meno che tu non sia Maldini». Nella storia del calcio sono pochissimi i giocatori che nel corso di una carriera vissuta sempre nella stessa squadra hanno vinto tutto e insieme hanno ridefinito quello che si può fare in campo. Paolo Maldini è uno di loro. Col Milan ha conquistato la sua prima Coppa dei Campioni a vent'anni e l'ultima solo un mese prima di compierne trentanove. Nelle sue 1041 presenze ufficiali ha trasformato il ruolo del difensore, appropriandosi dell'enfasi e dell'estetica del gioco come se fosse un fantasista, caricando alcuni suoi recuperi in scivolata con lo stesso peso emotivo di un gol. Ma il racconto idealizzato e addomesticato di Paolo Maldini ha finito spesso per nascondere la ricchezza di una figura molto più complessa. In questo libro Diego Guido non si è fermato alla superficie. Ha intervistato i protagonisti – Maldini naturalmente, e poi Sacchi, Ambrosini, Prandelli – e ha scelto di raccontare tutte le sfaccettature di un mito del calcio moderno che non ha mai fatto pace con alcuni aspetti di quel mondo.