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Jan Dost compone in questo libro, compatto per temi e forme, un diario esistenziale di acuta valenza poetica, nel suo farsi 'altro' da sé, nel suo trasformarsi da privato in denuncia e condanna: la voce del poeta forse non ha, malgrado la potenza delle sue parole che si incidono nell'animo di chi legge, altro scopo che quello - lamento e sfogo, slancio di passione. Ma quanto sollievo possono dare le semplici parole del poeta che si guarda intorno (e dentro) smarrito e cerca 'compagni al duolo', uomini desiderosi come lui di pace e fratellanza. La lezione della poesia non può che essere quel che è: parola che comunica e si comunica, messaggio che cerca e trova, esperienza che si fa conoscenza partecipata. Anche gli oggetti parlano, si confessano nella loro fragilità di impotenza, che diventa paradossalmente vita nuova offerta a chi guardandoli sappia coglierne il riflesso, l'ombra di ciò che sono o almeno furono: un orologio, una bicicletta, una porta, una finestra, un tetto, elementi di un paesaggio/ambiente che vivono ormai soltanto in queste parole, conservate per parlare di un tempo in cui vivevano davvero poiché erano parte della vita umana di chi li viveva e ne aveva parte.
(Testo arabo a fronte, traduzione di Agron Argentieri)
(Testo arabo a fronte, traduzione di Agron Argentieri)