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Per parecchi decenni il pensiero di Leopardi è stato presentato dalla critica nella forma di un razionalismo variamente progressistico. Tra i rarissimi studiosi che respinsero e contrastarono questa deturpante interpretazione ideologica il più radicale e il più esplicito è stato Mario Andrea Rigoni.
Nei suoi saggi, composti nell'arco di un quarantennio, Rigoni dimostra che Leopardi accoglie e sviluppa, della cultura illuministica sulla quale si era formato, soltanto la parte negativa e distruttiva, interpretando anche lo sviluppo del sapere come eliminazione di errori anziché come acquisto di verità positive; che la sua convinzione della superiorità morale, politica ed estetica del mondo antico non viene travolta dalla rivelazione del pessimismo greco né dalla coscienza del definitivo tramonto dell'antichità; che il suo implacabile materialismo intrattiene un rapporto paradossale col platonismo e non annulla ma semmai esalta il «misterio eterno/ dell'esser nostro»; che la sua trascurata quanto notevole riflessione antropologica, storica e politica è quella di un Machiavelli e di un Guicciardini dell'Ottocento; che il suo Zibaldone di Pensieri, frutto di una moderna attitudine sperimentale, costituisce una testimonianza saggistico-aforistica paragonabile soltanto alle Pensées di Pascal, al Dictionnaire historique et critique di Bayle, ai frammenti di Nietzsche; infine che Leopardi giunge a un'inconsapevole e sorprendente sintonia, su molte questioni capitali, col Romanticismo tedesco ed europeo, pur non avendo niente in comune con l'idealismo né, in particolare, con l'utopia di una finale conciliazione dialettica del reale.
Molte altre novità emergono da questi studi: si pensi alle consonanze con la riflessione di Freud sul tema del rapporto tra il piacere e la morte o alle tante e inaspettate affinità tra i pensieri dello Zibaldone e l'estetica di Croce, che molto curiosamente ne ignorò i risultati.
Sottratto alle ipoteche ideologiche, come alle manie accademiche, il pensiero di Leopardi viene in tal modo restituito a quell'"ultrafilosofia" che è sua propria e che consente anche a noi di gettare un lucido sguardo sulla fisiologia del mondo e della storia.
Nei suoi saggi, composti nell'arco di un quarantennio, Rigoni dimostra che Leopardi accoglie e sviluppa, della cultura illuministica sulla quale si era formato, soltanto la parte negativa e distruttiva, interpretando anche lo sviluppo del sapere come eliminazione di errori anziché come acquisto di verità positive; che la sua convinzione della superiorità morale, politica ed estetica del mondo antico non viene travolta dalla rivelazione del pessimismo greco né dalla coscienza del definitivo tramonto dell'antichità; che il suo implacabile materialismo intrattiene un rapporto paradossale col platonismo e non annulla ma semmai esalta il «misterio eterno/ dell'esser nostro»; che la sua trascurata quanto notevole riflessione antropologica, storica e politica è quella di un Machiavelli e di un Guicciardini dell'Ottocento; che il suo Zibaldone di Pensieri, frutto di una moderna attitudine sperimentale, costituisce una testimonianza saggistico-aforistica paragonabile soltanto alle Pensées di Pascal, al Dictionnaire historique et critique di Bayle, ai frammenti di Nietzsche; infine che Leopardi giunge a un'inconsapevole e sorprendente sintonia, su molte questioni capitali, col Romanticismo tedesco ed europeo, pur non avendo niente in comune con l'idealismo né, in particolare, con l'utopia di una finale conciliazione dialettica del reale.
Molte altre novità emergono da questi studi: si pensi alle consonanze con la riflessione di Freud sul tema del rapporto tra il piacere e la morte o alle tante e inaspettate affinità tra i pensieri dello Zibaldone e l'estetica di Croce, che molto curiosamente ne ignorò i risultati.
Sottratto alle ipoteche ideologiche, come alle manie accademiche, il pensiero di Leopardi viene in tal modo restituito a quell'"ultrafilosofia" che è sua propria e che consente anche a noi di gettare un lucido sguardo sulla fisiologia del mondo e della storia.