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Con la verve sferzante dei suoi vent'anni, Maurice Denis compone nel 1890 una brillante dichiarazione di poetica destinata a diventare uno dei testi fondamentali del modernismo. Studente all'École des Beaux-Arts e all'Académie Julian, aggiornatissimo sulle ultime tendenze, Denis frequenta i Salon e le altre rassegne artistiche, non esitando a criticare i nomi più affermati della scena parigina negli anni Ottanta del XIX secolo. E malgrado l'insolenza dei suoi attacchi, la Storia gli darà ragione, relegando in breve tempo molti di quei nomi tra le fila dei comprimari. Realismo e naturalismo lo nauseano, perché «l'arte è santificazione della natura» e non imitazione; ogni approccio «scientifico» alla pittura lo annoia; e detesta l'inerzia mentale di una generazione intrappolata nelle proprie convenzioni accademiche. Soprattutto, trova insensata l'enorme enfasi che nell'apprezzamento estetico di un quadro si usa attribuire al soggetto rappresentato rispetto alla forma di rappresentazione. Contro gli sterili sofismi, allora, Denis auspica un ritorno a valori antichi, tradizionali, di decorativismo puro: una visione apparentemente retriva, che però, predicando l'emancipazione delle linee e dei colori dalla resa descrittiva del tema, veicola il germe dell'astrazione più radicale.