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Un inedito Pietro Ingrao ripercorre in questo testo – nato in occasione di uno degli Incontri all'Eremo di Adriana Zarri – la propria storia di lotta politica e sociale, tra i sommovimenti di un Novecento agitato dalla febbre del fare, e confessa, con intime tonalità, di aver scoperto soltanto tardi nuove dimensioni dell'esistenza che permettono di cogliere un'immensità, una dilatazione priva di confini: l'esperienza umana della contemplazione. Ingrao è così catturato dalla profondità di un altro conoscere, dal piacere di una ricerca gratuita, disinteressata, "inutile". L'uomo la cui vita è stata segnata dal valore del produrre mette in discussione il proprio passato facendosi cantore di uno straordinario elogio del vagabondare, della "perdita di tempo", della visione del notturno e dei momenti d'interiorità nei quali l'esperienza umana si fa più sottile e indecifrabile.