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Nella prima metà dell'Ottocento, un brillante e tormentato intellettuale russo esprime in forma epistolare le sue riflessioni sul futuro spirituale della nazione. Scritte da Necropolis, la «città dei morti», come Čaadaev chiamava Mosca, le lettere sono un'analisi lucida e spietata dell'arretratezza culturale e spirituale della Russia zarista. Solo con il superamento delle pastoie ideologiche del nazionalismo politico e confessionale, la Russia potrà risorgere dalle proprie ceneri e diventare un grande Stato all'interno del contesto europeo. In particolare, una sincera apertura alle istanze universali del Cristianesimo cattolico, secondo Čaadaev, consentirà al popolo russo di colmare il ritardo con gli altri popoli, unendosi finalmente alla grande tradizione della cultura europea. Pubblicate all'apogeo del regno assolutistico di Nicola I, basato sulle parole d'ordine «ortodossia, autocrazia, nazionalità», le tesi di Čaadaev rappresentarono uno shock per l'establishment politico e intellettuale e posero per la prima volta in modo radicale la questione del rapporto tra la Russia e l'Occidente.