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«Se l'invidia fosse una malattia, il mondo sarebbe un ospedale». La sapienza popolare, facendo ricorso a proverbi e adagi, ha ripetutamente descritto, beffeggiato e condannato una passione torva e rancorosa che genera soprattutto maldicenze, diffamazioni e calunnie. Figlia della superbia, l'invidia impedisce di essere contenti di ciò che si ha, si rallegra per il male altrui, si angustia e si rattrista per ciò che gli altri possiedono. È un vizio che non procura vantaggio o piacere a chi lo coltiva, ma genera un'acuta e costante sofferenza. Anche se c'è chi la considera il «carburante che fa girare il mondo», perché attiverebbe energie altrimenti sopite incoraggiando l'emulazione, essa è un sentimento triste e infelice che macera e tormenta interiormente, isola dalla realtà e falsifica le relazioni. Vasta è la galleria dei «grandi invidiosi», a partire da Iago nell'Otello di Shakespeare e da Uriah Heep nel David Copperfield di Dickens. Ma anche la Bibbia non è esente: Caino invidia Abele, Esaù invidia Giacobbe, Saul invidia Davide. E persino gli dèi, narrano Erodoto, Eschilo e Pindaro, talvolta soffrono d'invidia per certi mortali troppo felici.