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Come si può vivere da scrittori sotto una dittatura? Quali parole dire e quali tacere? Fino a che punto darsi coraggio o piegarsi alla paura? E ancora. Aspettare di essere censurati o censurarsi da soli? Unirsi al coro, fare finta di cantare o tenere la bocca chiusa? Fatos Kongoli, autore fra i più letti e tradotti dell'area balcanica, affronta, con questo romanzo-confessione, i dissidi interiori che hanno tormentato la sua esperienza umana e letteraria, durante e dopo la dittatura comunista. Ne viene fuori un autoritratto originale e sincero in cui è l'autore, per una volta, a cercare il confronto, anzi a marcare le somiglianze tra sé e gli antieroi dei suoi romanzi: tutti tendenzialmente pavidi, inadeguati, cinici, disperatamente in bilico tra le lusinghe e le minacce del Potere. Vengono inoltre tirati in ballo, a vario titolo, numerosi protagonisti della vita pubblica albanese che Kongoli, figlio di un esponente di rango del regime poi caduto in disgrazia, ha conosciuto sin dall'infanzia. Un libro-scandalo dunque. Ma non solo. Senza nascondere le proprie debolezze e le proprie contraddizioni, cercando invece di leggersi in profondità, Kongoli ci fa entrare nel suo laboratorio creativo, ci svela i meccanismi che presiedono alla nascita dei suoi personaggi e allo sviluppo delle sue trame. Ci offre in pratica, con umiltà, una grande lezione sull'arte dello scrivere. Un'avventura esclusiva e illuminante, sia per quanti hanno già letto i romanzi di Kongoli, sia per quanti, dopo questo libro, non potranno farne a meno.