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Questo libro costituisce una sintesi della visione, letteraria e antropologica, di una piccola comunità, emblema del Paese, dell'Italia, divorata dai conflitti tra "sacristi" (credenti, cattolici fondamentalisti) e "sacripanti" (laici, miscredenti, eretici). È il racconto del passaggio dalla civiltà contadina, rimasta per certi aspetti profondamente arcaica, all'avvento della modernità, in un paese dominato dall'influenza pervasiva della dottrina cattolica, dalla superstizione, da diverse forme di "peste", ma reso vitale dalla singolarità di costumi e da figure profondamente umane. La storia disegna la geografia di un microcosmo che appartiene ad un "profondo Nord", dove ancora le tradizioni condizionano il destino delle persone. La trama consiste nella narrazione di una serie di "calamità pestifere" che ha colpito il paese (piccolo borgo lombardo, emblema del Paese/Nazione Italia) dal dopoguerra fin quasi a tempi recenti. Le sette pesti sono illustrate attraverso il cambiamento delle abitudini comunitarie e la descrizione di personaggi caratteristici, nell'arco di cinquanta anni, nella seconda metà del secolo scorso, anche se alcune storie familiari affondano le radici in un più remoto passato. È un affresco critico e disincantato della italianità. Il personaggio-chiave è Catarina, l'ostessa che – nella narrazione – gestisce l'"Osteria Italia". Simile a una novella Penelope in perenne attesa di un fantomatico amante e marito ideale, un "Ulisse" che non arriva mai, respinge nel corso della sua vita le avances dei suoi pretendenti che, come i Proci, le vivono intorno frequentando l'Osteria che è l'"ombelico del mondo" e del paese.