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C'è sempre tanta gioia nel narrare e, soprattutto, c'è tanta voglia di sprigionare quel che la memoria trattiene e racchiude del tempo passato e del mondo umano, scomparso e perduto, insieme con l'età che non c'è più. E, forse, proprio da questo dipende e proviene quel senso di indefinito e di vago, in cui il racconto si condensa. Narrare, in fondo, non è altro che dare nuova forza e più duratura vitalità ad immagini e quadretti di vita che, a prescindere dalla loro effettiva realtà, finiscono comunque con l'essere incastonati in un tempo senza tempo e in uno spazio che perde le coordinate concrete di un ambito determinato e definito, per tingersi di un'aria coinvolgente e ammaliante, che trasferisce il lettore stesso al centro dell'azione, quasi facendolo partecipare direttamente, personaggio fra i personaggi, alle vicende narrate. E Giulio di Malta lo sa, lo sa bene e sa raccontare; in fondo è anche dovuto a questo, ma non solo, il fascino che si leva dalla sua raccolta "I racconti del frantoio". E' questa la forza intima e profonda che sostiene il di Malta narratore, che scolpisce, con fine tocco, personaggi, azioni ed eventi, che ne hanno colpito la mente e la fantasia. "Quanto viene narrato con questo episodio della presente raccolta"– scrive G. di Malta nel racconto "Valeriu, Cilibertu e l'uogliu de ricinu" – è frutto di racconti verbali di persone che hanno vissuto la realtà e l'hanno tramandata ai posteri, certamente arricchita, ma non alterata nella primitiva essenza" (cfr. p. 1). Eppure ha il sapore e il senso dell'universalità! Ma è, poi, importante, conoscere fino in fondo la natura dei fatti narrati? Una volta affidati alle pagine di un racconto, di un romanzo o di altro, vicende ed episodi, personaggi ed azioni si cingono dell'aria indefinita dell'arte e se ne nutrono fino ad appartenere ad una nuova dimensione, che non è più quella particolare, ma è quella che dà un senso di universalità alla'storia, attraverso un processo creativo capace di coinvolgere tutti nella narrazione e di farla sentire di tutti. E' così anche per "I racconti del frantoio". Quando Giulio di Malta narra, la sua pagina si offre al lettore con una freschezza di vita e con una vis rappresentativa, che fanno della narrazione l'epifania di un mondo che non è più quello dell'autore o del contesto, da cui sorge il raccontare, bensì è quello dell'uomo, dell'uomo in cui si incontrano narratore, personaggi, azioni e lettore, secondo la misura dell'arte. E' questa la vis della penna di Giulio di Malta, vis che scorre in queste pagine a ricreare un mondo, in cui si dipana l'azione non più di questo o di quell'uomo, ma dell'uomo, universale soggetto di storia e di vita. E di questa vita, nei racconti di Giulio di Malta, il "frantoio" si fa speciale punto di osservazione. "Il frantoio – scrive il di Malta – è insomma il salotto del contadino. Un salotto aperto notte e giorno dove si alternano di continuo donne e cavalieri diversi ed eterogenei, impegnati a tutelare i propri interessi, a raccogliere il frutto del loro faticoso lavoro, a pettegolare su tutto e su tutti" (cfr. p. 29, "Geniale, u ciucciu e llu giornale"). Così, quando Giulio di Malta racconta, ogni sua pagina si tinge di nuova vita, quella vera ed essenziale, che solo l'arte sa e può dare. Quei'"frantoi", semplici punti di osservazione e di chiacchiere, mentre si lavora, richiamano alla mente tanti altri luoghi paesani, tanti altri locali, centri di incontro e di conversazioni quotidiane, in cui scorre e si esprime la vita. "Nei frantoi oleari, i salotti dei contadini, - scrive il di Malta – dove si parla e si sparla di tutto e di tutti...Le giornate e le nottate sono una lotta continua tra proprietari e...