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«Gli ultimi tre anni della mia vita li ho passati in vari ospedali psichiatrici. Allora perché sono più pazza di prima????». Così scrive Hadley Freeman nel suo diario, nel 1995. L'adolescenza dell'autrice è infatti segnata da un andirivieni continuo tra cliniche e ambulatori. Diagnosi, cure, psicoterapia e pensieri intrusivi sul cibo sono le esperienze che più ricorda di un periodo in cui i suoi coetanei si dedicavano alla scoperta del corpo e delle relazioni, muovendo i primi passi fuori dal nucleo protetto della famiglia. Freeman vivrà poi i suoi primi anni da adulta come un'«anoressica funzionale», trovando negli studi un'occasione di riscatto e continuando a fare i conti con il «serpente nero» dentro la sua testa. Un mostro che muta forma e si manifesta in nuovi comportamenti autodistruttivi – dalle droghe alle relazioni tossiche, fino alle ossessioni e compulsioni che minano la routine quotidiana.
L'autrice parte dalla propria esperienza personale e la pone in dialogo con i principali studi sull'anoressia e le sue comorbilità – come il disturbo ossessivo-compulsivo – ma va oltre l'aspetto clinico, indagando la malattia come fenomeno sociale che evolve con il mutare dei tempi e si intreccia con le tendenze del momento – l'heroin chic nella moda degli anni Novanta o l'esplosione dei social in epoca contemporanea. Unendo saggio e memoir, questo libro ci accompagna dentro le pieghe di uno dei disturbi mentali più discussi ma meno compresi. Indaga gli stati d'animo che caratterizzano l'anoressia – vergogna, paura, solitudine e rabbia – e ci mostra la battaglia di tante giovani donne per liberarsi dalle aspettative sociali che le vogliono sempre «brave ragazze», e abbracciare così la libertà preziosa e inquietante connessa al diventare adulte.