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PREFAZIONE IMPOSSIBILE DI LOPE DE VEGA ALLA SUA "BELISA INNAMORATA"
Gentili lettori e spettatori del Terzo Millennio,
par che vi siate dati appuntamento nel secolo della luce elettrica e dell'amor liquido per riveder le gesta amorose di una certa dama, che un tempo, su carta e palco, prese nome di Belisa, sì, la stessa che negava Amore con tanta ostinazione da dover poi, ironia divina!, cadere preda d'Amore stesso, e col cuore in tumulto.
Non mi pare vero! In vita mia scrissi più commedie che giorni visse l'uomo di campagna, eppure questa — questa bizzarria amorosa — continua a cantare. E non da sola! Porta con sé canto, farsa e duello, parole versate come vino rosso in coppe d'argento.
Chi ha osato tradurre il mio spagnolo in questa lingua melodiosa che chiamate italiano? Un certo Todarello. Ah! Nome che suona come tamburo comico in corte nobiliare. E bene ha fatto: ha tagliato e cucito con arte sartoriale, con musiche e strofe, che danno a Belisa una voce nuova e un po'... contemporanea.
Oggi, voi tutti che vivete tra pixel e streaming, conoscete forse più Tinder che Tello, ma ascoltatemi: le bizzarrie del cuore non cambiano mai. Oggi come allora, si gioca con il sentimento come con una spada: si finge, si duella, si ama, si tradisce, si canta.
Dunque, accomodatevi, gentili dame e cavalieri del XXI secolo. Aprite il libro o alzate il sipario. Che entri Belisa, quella altera, quella sdegnosa, quella innamorata! E che l'amore, seppur folle, trionfi di nuovo — se mai ne fu colpa amare troppo.
Con rispetto eterno e un pizzico d'invidia verso chi può ancora scrivere drammi in libertà,
Lope Félix de Vega Carpio
(detto il Fenice di Madrid, ma oggi, ospite inaspettato di questo vostro palcoscenico)
Gentili lettori e spettatori del Terzo Millennio,
par che vi siate dati appuntamento nel secolo della luce elettrica e dell'amor liquido per riveder le gesta amorose di una certa dama, che un tempo, su carta e palco, prese nome di Belisa, sì, la stessa che negava Amore con tanta ostinazione da dover poi, ironia divina!, cadere preda d'Amore stesso, e col cuore in tumulto.
Non mi pare vero! In vita mia scrissi più commedie che giorni visse l'uomo di campagna, eppure questa — questa bizzarria amorosa — continua a cantare. E non da sola! Porta con sé canto, farsa e duello, parole versate come vino rosso in coppe d'argento.
Chi ha osato tradurre il mio spagnolo in questa lingua melodiosa che chiamate italiano? Un certo Todarello. Ah! Nome che suona come tamburo comico in corte nobiliare. E bene ha fatto: ha tagliato e cucito con arte sartoriale, con musiche e strofe, che danno a Belisa una voce nuova e un po'... contemporanea.
Oggi, voi tutti che vivete tra pixel e streaming, conoscete forse più Tinder che Tello, ma ascoltatemi: le bizzarrie del cuore non cambiano mai. Oggi come allora, si gioca con il sentimento come con una spada: si finge, si duella, si ama, si tradisce, si canta.
Dunque, accomodatevi, gentili dame e cavalieri del XXI secolo. Aprite il libro o alzate il sipario. Che entri Belisa, quella altera, quella sdegnosa, quella innamorata! E che l'amore, seppur folle, trionfi di nuovo — se mai ne fu colpa amare troppo.
Con rispetto eterno e un pizzico d'invidia verso chi può ancora scrivere drammi in libertà,
Lope Félix de Vega Carpio
(detto il Fenice di Madrid, ma oggi, ospite inaspettato di questo vostro palcoscenico)