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Quando si incontrarono, lei aveva l'età di sua figlia; lui era già il più importante poeta dell'epoca. Diciottenne, figlia della buona borghesia svizzera, Anita Forrer scrive a Rainer Maria Rilke nel gennaio del 1920. Naturalmente, gli esprime alta ammirazione; poco dopo, gli consegnerà i codici del suo segreto. L'epistolario tra Anita e il poeta è tra i più alti dell'oceanico carteggio rilkiano: vi si rintracciano, tra estasi e tremori, i segni del rigore e dell'abbandono, una maestria immacolata. Rilke è prossimo al capolavoro – nel 1922 termina, a Muzot, le "Elegie duinesi" –, la ragazza gli confessa la sua omosessualità. "È importante orientarsi secondo la propria innocenza, rimanendo imperturbabili e fiduciosi", scrive Rilke, speleologo nei meandri dell'amore. "Bisogna pur reggerlo, Anita, questo cuore così grande, così difficile da usare". Il carteggio, finora inedito in Italia, pare il controcanto 'al femminile' delle notissime "Lettere a un giovane poeta", ma ha in dote qualcosa in più: la maturità di Rilke, la distanza – un pastorale di stelle, diremmo –, l'obliqua paternità, l'ubiquità dell'amare e una compassione che non ha timore di essere sanguinaria.